Miss Cuoricino di Christian Galantucci: una favola vera, nella giungla dell’anima digitale

Ho appena finito di leggere Miss Cuoricino – Una storia d’amore Reale ai tempi dell’Intelligenza Artificiale e sento il bisogno di scriverne a caldo, perché certi libri non si chiudono, si sedimentano. Ti camminano dentro. E quello di Christian Galantucci è uno di questi.
Non lo definirei semplicemente un romanzo, ma un’opera caleidoscopica che mischia generi, piani narrativi, linguaggi. Un po’ romanzo di formazione, un po’ diario esistenziale, un po’ favola distopica. Il tutto condito da una prosa che riesce a essere cruda e lirica allo stesso tempo, con un gusto cinematografico che strizza l’occhio a Tarantino e a Saramago, se i due si fossero mai trovati a bere un Lagavulin insieme.
La storia ruota attorno a un protagonista apparentemente disilluso, quasi cinico, che parte per un viaggio nel cuore dell’Africa, inizialmente mosso da motivazioni futili – una partita di poker in un resort da sogno – e finisce travolto da un’esperienza che ha i contorni della rivelazione. Lì, tra “i diavoli di sabbia” e i profumi di un mondo che ha ancora il coraggio di chiamarsi reale, inizia il primo dei tanti risvegli che il libro mette in scena.
Ogni capitolo è una porta: si passa dalla magia primordiale del deserto keniota, dove il soprannaturale si fa carne e vento, alle luci artificiali e tossiche di un casinò svizzero, che sembra un girone dantesco travestito da resort a cinque stelle. E in mezzo, c’è tutto: l’amore e la perdita, la memoria e l’identità, la solitudine moderna, l’illusione di una tecnologia che promette di connetterci e invece ci isola sempre più.
Galantucci ha una dote rara: sa scrivere di sentimenti senza scadere nel sentimentalismo, sa parlare di morte e rinascita con la leggerezza di un’anima che ha sofferto ma non ha perso la voglia di credere. I suoi personaggi – da David, la guida spirituale africana, a Stefania e Luca, coppia struggente e magnetica, fino al barista-filosofo John – sembrano usciti da un romanzo corale di un mondo parallelo, eppure sono tutti dannatamente veri. Perché ciò che fa la differenza non è dove si svolge la storia, ma come ti fa sentire mentre la leggi.
Ho trovato potentissimo il simbolismo dei “cuori” – quello nuovo, quello vecchio, quello donato – e la riflessione implicita sul concetto di identità in un tempo in cui tutto è diventato interscambiabile, artificiale, programmabile. Eppure, proprio in quel contesto, l’autore ci ricorda che l’unico vero algoritmo che conta è quello del cuore. Quello che nessuna IA potrà mai replicare. Quello che batte ancora, nonostante tutto.
La struttura stessa del libro è una provocazione: non segue uno schema lineare, ma alterna sogno e realtà, presente e passato, confessione e invenzione. È come se Galantucci avesse voluto costruire un labirinto emotivo in cui il lettore, proprio come il protagonista, è chiamato a perdersi per ritrovarsi.
Miss Cuoricino è anche un libro politico, nel senso più alto del termine. Parla della società dei consumi, della mercificazione dei sentimenti, della nuova solitudine mascherata da iperconnessione. Ma non si limita a denunciare: propone una via d’uscita. Una fuga dalla “realtà aumentata” verso una verità diminuita ma autentica. Una rivoluzione silenziosa che parte dal riconoscere la fragilità come punto di forza.
È un libro che consiglio a chi ha smesso di credere nei miracoli e ha bisogno di ritrovarne almeno uno. Magari piccolo. Magari imperfetto. Ma vero. Perché, come scrive Galantucci, ognuno di noi ha dentro un “diavolo di sabbia” che prima o poi torna a trovarlo. E quando succede, devi essere pronto ad ascoltarlo.
Grazie Christian. Per questo libro. Per questo viaggio. Per avermi fatto ricordare che esistono ancora storie capaci di toccarti, di sorprenderti, di lasciarti qualcosa addosso. Un segno. Un cuore. Un profumo.