Cinema, amicizie e copioni: la recita fuori scena di Elio Germano

Nel panorama del cinema italiano, dove un tempo brillavano le stelle del neorealismo e dell’arte autentica, oggi assistiamo a performance che sembrano più adatte a una recita scolastica fuori tempo massimo. L’ultima è quella di Elio Germano, attore che ha recentemente puntato il dito contro il ministro Giuli, accusandolo di favorire gli amici nell’assegnazione di fondi e patrocini. Una denuncia accorata, certo. Peccato solo che arrivi con circa trent’anni di ritardo.
Perché il “sistema degli amici” – caro Elio – non l’ha inventato certo questo governo. È figlio di decenni in cui, guarda caso, chi si allineava con la narrazione ideologica dominante (quella sì, davvero monopolizzata) otteneva premi, fondi, visibilità e prime serate Rai. E se proprio vogliamo dirla tutta, il cinema italiano ha vissuto per anni sotto il giogo di un monopolio culturale che ha scambiato la tessera di partito per un curriculum artistico.
Film che non ha visto nessuno, progetti pretenziosi quanto noiosi, elucubrazioni pseudo-intellettuali infarcite di ideologia e zero emozione. Il tutto generosamente finanziato con denaro pubblico. Chi li faceva? Sempre i soliti. E chi li premiava? Sempre gli stessi. Una mano lava l’altra, e insieme si sono lavati via la bellezza, la sperimentazione, il racconto vero del Paese.
E tu, caro Germano, in tutto questo dov’eri? Probabilmente dentro quella stessa ruota, che oggi rinnegando mordi solo perché ha smesso di girare a tuo favore. Hai navigato tra festival, set e finanziamenti pubblici senza che mai ti venisse in mente che forse qualcosa non quadrava. Ti svegli ora, col fiatone, a gridare allo scandalo quando ormai siamo al secondo tempo di una farsa durata decenni.
Nel frattempo, il ministro Giuli – a cui rivolgi il tuo monologo da attore indignato – sta cercando di scrostare un po’ di quella ruggine ideologica incrostata nei meccanismi del cinema di Stato. E tu? Anziché cogliere l’occasione per rimboccarti le maniche e dimostrare il tuo valore artistico, preferisci recitare la parte del profeta inascoltato. Con il piccolo dettaglio che non ti ha scritto nessuno la parte.
Il nostro cinema ha visto altri tempi, altri nomi, altri valori. Rossellini raccontava l’Italia con coraggio, De Sica emozionava il mondo, Fellini ci faceva sognare, Visconti ci mostrava l’eleganza del dramma. Nessuno di loro ha mai avuto bisogno di “amicizie giuste” per scrivere la storia. Oggi, invece, ci tocca assistere alla tragicommedia di attori che usano il dibattito pubblico come provino.
E a rendere il tutto ancora più surreale, ci pensa il solito contorno di critici compiacenti, pronti a recensire come “capolavoro visionario” qualunque pellicola che confermi la linea ideologica del giorno. Giudizi cucinati più nei salotti che nelle sale, mentre le scuole di cinema – un tempo fucine di sperimentazione – sembrano diventate officine di conformismo culturale, dove si insegna più a come pensarla che a come girare un’inquadratura.
Caro Elio, se vuoi davvero contribuire al riscatto del cinema italiano, comincia col guardarti allo specchio. Magari lì troverai il vero protagonista del problema che denunci. E forse – chissà – potresti anche riscoprire la voglia di fare cinema con passione, e non solo con polemica.
Perché il pubblico italiano, di copioni riscritti all’ultimo momento, ne ha fin sopra i capelli. Ora vuole tornare a vedere storie vere, scritte da chi ha qualcosa da dire. Non da chi cerca solo qualcosa da gridare.